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TRIGGER POINT – I FAMOSI “NODI” MUSCOLARI

TRIGGER POINT

La carriera Universitaria del Fisioterapista passa obbligatoriamente attraverso lo “studio” e la pratica del massaggio “terapeutico”. La storia di questa professione è indissolubilmente legata a questa pratica e sarebbe un vero peccato perdere questo patrimonio storico di tecniche e manualità.

Nonostante questo, la riabilitazione si è evoluta molto rispetto ai suoi albori, quando il Fisioterapista aveva il semplice ruolo di fare massaggi e applicare gli elettrodi delle terapie fisiche.

Il massaggio ha indubbiamente una serie di vantaggi:

  • aiuta il paziente a rilassarsi
  • migliora momentaneamente l’attività del suo sistema vegetativo
  • migliora il ritorno venoso
  • favorisce il drenaggio linfatico
  • diminuisce momentaneamente il suo grado di stress

Tuttavia non può essere considerato una forma di Riabilitazione, in quanto non apporta nessun vantaggio dal punto di vista funzionale. Il paziente, in una condizione di totale passività, non saprà come gestire il suo problema, la sua condizione fisica sarà rimasta la stessa e non potrà far altro che demandare il suo benessere alle mani esperte di un massaggiatore.

Non sto demonizzando il massaggio, nulla vieta di completare una seduta di riabilitazione con un bel massaggio o di impiegare il massaggio come forma di rilassamento post-partita nelle competizioni sportive. Sto dicendo che NON E’ una forma terapeutica accettabile nel 2021.

Perché un intervento possa essere considerato terapeutico, occorre accertare una correlazione diretta tra il suo impiego e una qualche forma di beneficio legata in maniera inequivocabile alla sua somministrazione. Se voglio capire l’efficacia terapeutica del farmaco X per la patologia Y, devo effettuare una sperimentazione clinica rigorosa che metta in luce la validità del suo utilizzo, in maniera quantitativamente misurabile e statisticamente significativa. 

Il massaggio non rientra tra le forme di terapia scientificamente validate.

Eppure il mondo della riabilitazione è ancora fortemente legato al massaggio e alla terapia manuale in generale, un po’ perché il mercato lo richiede, un po’ perché è parte integrante del programma formativo universitario. Ma soprattutto perché mette il terapista nella condizione di guaritore, colui che “sente” il problema e lo “risolve” con una manovra magica.

Questo modo di concepire la Fisioterapia dovrebbe essere abbandonato, come fosse un retaggio del nostro passato professionale, ma invece continua a perpetrarsi in ambito universitario e formativo, e ogni anno vengono sfornati nuovi terapisti che avranno mani “magiche” in grado di effettuare manovre terapeutiche al limite del paranormale.

La “teoria dei Trigger Point” è uno degli esempi più emblematici nell’ambito delle terapie manuali pseudo scientifiche. Si parte da un dato soggettivo, ovvero il dolore e la tensione in alcune aree muscolari, per arrivare ad una complessa teoria che ha generato una moltitudine di opzioni “terapeutiche” non validate che sono il pane quotidiano di Fisioterapisti, osteopati, massaggiatori, “terapisti” e altre figure non meglio definite.

I tp sono delle piccole aree muscolari particolarmente dure e dolorose. La loro presenza sarebbe la causa della “sindorme dolorosa miofasciale”, una diagnosi a cui consegue il relativo trattamento: “sciogliere” questi nodi. Problema locale, soluzione locale.

In realtà, come spesso accade, più che una diagnosi, si tratta di una mera descrizione di un fenomeno, che non ci aiuta a capirne le possibili cause, i meccanismi e lo sviluppo. Né tantomeno giustifica le varie e creative forme terapeutiche che si sono sviluppate negli anni: pressioni, frizioni, aghi, infiltrazioni, ultrasuoni, elettrostimolazioni, laser, ecc…

Eppure la teoria dei trigger point è oggi affermata e autorevole. Nonostante nessuno sappia cosa siano, e nessuno che abbia dimostrato come individuarli in maniera scientifica sono moltissimi “i professori” che sanno come trattarli

 

DIAGNOSTICARE I TP

La diagnosi di un TP dovrebbe essere affidata alle mani esperte di un terapista, il quale ha studiato la distribuzione di questi punti e sa riconoscerli alla palpazione. Inoltre questi “esperti” sanno distinguere se un TP è primario o secondario e possono individuare i TP latenti, responsabili della generazione del problema.

Purtroppo per loro, quando vengono sottoposti a studi di affidabilità inter-operatore (1), la loro efficacia diagnostica non si dimostra all’altezza delle aspettative. Significa che la capacità di individuare questi TP è del tutto soggettiva e per niente affidabile.

Venuta meno la capacità di individuare questi noduli, cade l’impalcatura su cui si regge il processo diagnostico e terapeutico della sindrome dolorosa miofasciale.

Se non è possibile individuare con certezza la regione da trattare, sarà poco probabile riuscire a “normalizzarla”. Qualsiasi cosa voglia dire questo termine…

TRATTARE TP

Nonostante questo, le opzioni di trattamento disponibili ci offrono la testimonianza della creativa interpretazione che ogni esperto ha fornito in questo campo minato della medicina.

Tra i trattamenti non invasivi, la digitopressione è quella maggiormente utilizzata. Si tratta di comprimere manualmente questi punti dolorosi, evocando nel povero paziente un grande dolore e un notevole disagio. Il paziente dovrà soffrire se vorrà avere i risultati sperati. Esistono scuole di pensiero dal tocco più leggero e altre che ci vanno giù pesante. 

Altre forme prevedono l’impiego del ghiaccio spray come anestetico, seguito da varie tecniche di stretching.

Ovviamente non mancano le intramontabili terapie strumentali, come la TENS, l’ultrasuono e il Laser.

Tuttavia le revisioni sistematiche della letteratura (2) ci suggeriscono invece che non esistono evidenze attendibili per nessuna di queste forme di trattamento dei trigger point.

Possiamo ragionevolmente affermare che la teoria dei trigger point non è altro che una congettura (3) e che le teorie di lavoro derivanti da questa congettura debbano essere abbandonate al più presto.

Solo così la ricerca scientifica potrà farsi spazio negli ambulatori di Fisioterapia.

E I MUSCOLI TESI?

L’unica certezza clinica, rimane il fenomeno soggettivo del dolore localizzato a livello muscolare. Su questo non ci piove. È un riscontro comune e diffuso, che a volte può sfociare in una problematica dolorosa importante e invalidante.

A differenza dei TP, che vedono il muscolo come generatore di dolore, sono state ipotizzate nuove possibili sorgenti.

NEURITE: L’infiammazione del nervo periferico potrebbe generare un area di dolore in un muscolo che si presenta strutturalmente e fisiologicamente sano.

DOLORE RIFERITO: una problematica tissutale profonda (p.e. alle strutture vertebrali), evocata da un iniezione salina sperimentale, si accompagna a dolore riferito in una zona lontana. I TP potrebbero essere legati a questi meccanismi che il sistema nervoso centrale impiega per elaborare le informazioni di pericolo.

In conclusione posso dire che ho voluto smontare la teoria dei trigger point per fare spazio alle nuove ipotesi di lavoro che la ricerca dovrà affrontare nei prossimi anni. Se non ci liberiamo di questa zavorra, non saremo liberi di esplorare i nuovi orizzonti diagnostici e terapeutici che inevitabilmente si apriranno nei prossimi anni.

COME AFFRONTARE IL PROBLEMA DELLA “TENSIONE MUSCOLARE”

Come ogni altro aspetto nelle problematiche neuro-muscolo-scheletriche, non dobbiamo mai fermarci a ragionare in ottica strutturale. Non esiste un problema muscolare, uno osseo, uno nervoso. Le strutture, i sistemi e i tessuti sono fortemente integrati e interconnessi. Dobbiamo inoltre allargare la sfera diagnostica prendendo in considerazione gli aspetti psicologici e sociali, che concorrono al problema TANTO QUANTO quelli strutturali. E di questo ancora non siamo pienamente consapevoli.

Se guardiamo il problema con un’ottica di questo tipo, appare chiaro perché tra le opzioni terapeutiche disponibili per questo problema  ci sia, per esempio, l’esercizio aerobico (4).

Ma anche altre forme di esercizio fisico si sono rivelate altrettanto efficaci, per esempio lo stretching, il rinforzo muscolare, esercizi propriocettivi e di controllo neuromuscolare (5).

Fare attività fisica ha innumerevoli benefici non solo per le persone “sane”, ma anche e soprattutto per coloro che stanno soffrendo e che sono in una condizione di vulnerabilità. Non occorre aspettare di guarire per fare esercizio, bisogna fare esercizio per guarire. Anche di questo non siamo ancora pienamente convinti, o forse non abbiamo il supporto della classe medica per attuare il cambiamento culturale che sarebbe necessario per trasformare questa verità in pratica clinica quotidiana. 

Prescrivere esercizio fa parte del lavoro del Fisioterapista moderno, che potrà educare, consigliare e dosare la tipologia più adeguata alle esigenze del suo paziente.

Quindi non perderti nelle miriadi di trattamenti passivi che ti vengono proposti. Rimboccati le maniche, affidati a un bravo Fisioterapista e comincia il tuo percorso riabilitativo basato sulle evidenze!

 

1. Myburgh C, Larsen AH, Hartvigsen J. 
A systematic, critical review of manual palpation for identifying myofascial trigger points: evidence and clinical significance
Arch Phys Med Rehabil, 2008, vol.89 (pg.1169-76)

 

2. Rickards LD. 
The effectiveness of non-invasive treatments for active myofascial trigger point pain: a systematic review of the literature
Int J Osteopathic Med, 2006, vol.9 (pg.12036)

 

3. John L. QuintnerGeoffrey M. BoveMilton L. Cohen
A critical evaluation of the trigger point phenomenon 
Rheumatology, Volume 54, Issue 3, March 2015, Pages 392–399,

 

4. Sara AhmedShereen KhattabChris HaddadJessica BabineauAndrea FurlanDinesh Kumbhare
Effect of aerobic exercise in the treatment of myofascial pain: a systematic review
J Exerc Rehabil. 2018 Dec 27;14(6):902-910.

 

5. María José Guzmán-PavónIván Cavero-RedondoVicente Martínez-VizcaínoRubén Fernández-RodríguezSara Reina-GutierrezCelia Álvarez-Bueno
Effect of Physical Exercise Programs on Myofascial Trigger Points-Related Dysfunctions: A Systematic Review and Meta-analysis
Pain Med. 2020 Nov 1;21(11):2986-2996